domenica 13 novembre 2011
venerdì 4 novembre 2011
martedì 1 novembre 2011
Palestina nell'UNESCO

La decisione, votata a maggioranza dei due terzi, è stata salutata con modalità e considerazioni molto divergenti, dal “benvenuto” della direttrice generale dell’Unesco Irina Bokova, all’evidente soddisfazione di Sabri Saidam, consigliere del presidente dell’Autorità palestinese, che ha definito quello di ieri “Un giorno di festa” alle dichiarazioni di Israele che ha definito il voto “una tragedia” fino alla posizione dura presa dagli Stati Uniti. L’adesione della Palestina ha raccolto 107 voti a favore, 14 contro, tra cui i voti degli Stati Uniti della Germania e del Canada, e 52 astenuti, tra cui l’Italia.
Le ragioni politiche del voto sfavorevole americano sono note e aprono uno scenario complicato.
In conformità a due leggi del ’90, infatti, gli Stati Uniti non possono finanziare organizzazioni dell’Onu che accettino, a pieno titolo, la Palestina come membro.
Con queste leggi si spiega la decisione, di chiaro stampo politico, di ritirare il contributo di 60 milioni di dollari, che equivalgono al 22% del bilancio Unesco, previsto dal governo americano.
“Gli Stati Uniti non possono accettare l’adesione della Palestina all’Unesco” ha dichiarato il rappresentante americano subito dopo la votazione.
Altrettanto dura la posizione di Israele che tramite il ministro degli Esteri ha dichiarato che questa decisione equivale a un “ostacolo sulla via del ripristino dei negoziati”.
«Si tratta di una mossa unilaterale palestinese che, pur non portando alcun cambiamento sul terreno, allontana la possibilità di un accordo di pace» si legge dal suo comunicato.
“L’Italia si è attivata per giungere a una posizione coesa, in mancanza della quale abbiamo deciso di astenerci», ha spiegato Maurizio Massari che ha poi proseguito “ Riteniamo che non era il momento per porre la questione della membership palestinese all'Unesco, in una fase in cui si sta cercando di creare le condizioni ideali per una ripresa del negoziato tra le due parti».
sabato 22 ottobre 2011
Marcia per Laura Pollan

(AP Photo/Franklin Reyes)
Il 15 ottobre Héctor Maseda, sessanta Damas e molti loro sostenitori hanno marciato per le strade dell’Avana in memoria di Lauran Pollan morta in ospedale il giorno precedente.
L’avventura politica di Laura Pollan inizia con gli eventi drammatici della “Primavera nera” del 2003, quando tra i molti dissidenti cubani che vennero imprigionati, venne arrestato, accusato di aver attentato contro la sicurezza nazionale e condannato a 20 anni di prigione il marito Héctor Maseda, leader del Partido Liberal cubano.
Da allora Laura Pollan insieme ad altri parenti di prigionieri politici diede vita al movimento delle “Damas de blanco” nato per chiedere il rilascio di 75 prigionieri e per sostenere la difesa dei diritti umani sull’isola.
Dal 2003 ogni settimana le Damas de blanco, chiamate così perché vestite interamente di bianco, marciano sulla Quinta strada dell’Avana per manifestare e sostenere le loro richieste, superando le intimidazioni e le violenze delle forze dell’ordine.
Nel 2005 l’associazione ha vinto il premio Sakharov dell’Europarlamento per la difesa dei diritti umani, un primo passo verso il vero successo del movimento la liberazione di molti dissidenti avvenuta nel 2010, anche se spesso limitata dall’obbligo di esilio o di allontanamento dalla politica.
“[…] Era una donna coraggiosa che non esito a mettere in pericolo la sua salute per un ideale. Adesso che non è più con noi resta il suo esempio di donna libera e forte che ci sostiene nella lotta per il cambiamento e per il riconoscimento dei diritti umani in questa nostra isola martoriata” Yoani Sanchez , giornalista e attivista cubana.
Della morte dell’attivista civile non hanno dato notizia i giornali cubani.
sabato 15 ottobre 2011
mercoledì 12 ottobre 2011
Carceri afghane sotto accusa

mercoledì 3 agosto 2011
domenica 31 luglio 2011
Emergenza carceri

Intervista a Riccardo Iacona sul suo viaggio nelle carceri italiane:
sabato 30 luglio 2011
giovedì 28 luglio 2011
“LasciateCIEntrare”

Alla stampa invece è tassativamente vietato l’ingresso fino a data da determinare.
Proprio per contestare la disposizione del ministro Maroni, lunedì 25 luglio si è svolta la prima giornata di mobilitazione nazionale della campagna “lasciateCIEntrare”, nata dopo l’appello di Del Grande, fondatore nel 2006 dell’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione, “Fortess Europe”. La campagna promossa dal FNSI e dall’ordine dei giornalisti ha poi ricevuto diverse adesioni tra cui: Art 21, ASGI, Primo Marzo, Open Society Foundation, European Alternatives, ANSI, ARCI, ANSI, Libertà e Giustizia, Il Manifesto, il Riformista, l’Unità oltre ad un gruppo di parlamentari provenienti da diversi partiti dell’opposizione: Pd, Idv, Fli e Radicali.
Il punto centrale della protesta è la richiesta di fermare la censura della stampa disposta sia per i 13 CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione, ordinari, dove sono trattenuti gli immigrati con documento di soggiorno scaduto o che non hanno adempiuto il decreto di espulsione dall’Italia in attesa della loro identificazione e dell’eventuale rimpatrio, sia per i 3 CIE straordinari di Santa Maria di Vetere, Palazzo San Gervasio e Kinisia istituiti con decreto il 21 aprile.
Ma il divieto imposto alla stampa non si limita ai Centri d’identificazione ed Espulsione.
Da aprile, infatti, è impossibile l’ingresso dei giornalisti anche nei CARA, Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo, dove sono ospitati i richiedenti asilo in attesa della valutazione della loro domanda di protezione internazionale.
Il limite alla stampa posto anche nei confronti dei CARA rende ancora più preoccupante e inaccettabile, da parte degli aderenti all’iniziativa, la disposizione prevista da Maroni, come si legge nelle parole di Fulvio Vassallo, giurista dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione: “ I centri di accoglienza non sono chiusi, i richiedenti asilo possono uscire e allora non si capisce perché non possono entrare i giornalisti, il fatto che la circolare richiami congiuntamente i centri di accoglienza e quelli d’identificazione e di espulsione conferma la trasformazione in atto delle strutture di accoglienza in centri di detenzione “.
Ad incrementare ulteriormente la preoccupazione e l’indignazione degli aderenti il decreto del Consiglio dei Ministri votato il 16 giugno, che ora aspetta di essere convertito dal parlamento, che prevede il possibile aumento del tempo massimo di detenzione a 18 mesi.
La giornata di protesta si è concretizzata in diversi sit-in davanti ai principali CIE nazionali e con ispezioni di deputati e senatori nei centri. Dei 36 parlamentari che ne hanno preso parte, 6 hanno visitato e costatato la difficile situazione del CIE capitolino di Ponte Galeria, già oggetto di denuncie di associazioni umanitarie per abusi e violazioni dei diritti umani, dove, circa venti immigrati sono saliti sul tetto sventolando un lenzuolo con scritto la parola “libertà”.
I deputati, Andrea Sarubbi, Furio Colombo, Francesco Pardi, Rosa Villecco Calipari, Vicenzo Vita e Livia Turco, hanno potuto costatare la drammatica situazione in cui sono costretti a vivere gli immigrati. Per Furio Colombo, Presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati: “ I Cie sono un monumento alla violazione della costituzione”, mentre Francesco Pardi, parlamentare dell’Idv, denuncia l’alto numero degli ex carcerati ora reclusi nei centri: “ Il 60% dei reclusi è passato prima dal carcere e qui sconta un’altra pena aggiuntiva perché in carcere non è stato identificato, i consolati non rispondono e le persone restano nel limbo”.
La motivazione della disposizione presa dal Ministero, cioè il “non intralciare” le attività rivolte a gestire il flusso d’immigrati provenienti dal Nord Africa, oltre a risultare inaccettabile dal presidente della Fnsi, Roberto Natale: “ Ci sembra assurdo che i giornalisti siano considerati un intralcio. La formulazione di questa circolare è una violazione dell’articolo 21 della costituzione “, lascia spazio a diverse considerazioni come quella fatta dal Presidente della regione Puglia Nichi Vendola.
Vendola ha definito i CIE “ luoghi opachi, in cui si rischia di vedere sospesi diritti costituzionali, di luoghi in cui è possibile che avvengano violazioni di diritti umani” possibilità dovuta alla grave limitazione del diritto di cronaca e critica giornalistica, diritto sancito dalla costituzione italiana come il diritto d’asilo e l’adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano alle norme e ai trattati internazionali riguardo alle condizioni dello straniero.
domenica 29 maggio 2011
Video settimanale : Barcellona, intervento della polizia contro gli "Indignados"
27 maggio 2011, la polizia, sotto comando di Felip Puig, consigliere degli Interni della Generalità Catalana, cerca, utilizzando la violenza, di disperdere gli "Indignados" presenti in Piazza Catalunya a Barcellona.
La polizia ha ricevuto l'ordine di sgomberare la piazza, occupata dai manifestanti dal 22 maggio, per evitare, secondo il portavoce della polizia, disordini e permettere la pulizia della piazza in vista della finale di Champion's League.
Dopo aver sottratto ai manifestanti attrezzature e materiale, gli agenti hanno caricato i giovani che, seduti intorno alle camionette, impedivano la loro uscita dalla piazza.
Portavoce degli indignados denunciano la violenza ingiustificata della polizia, l'utilizzo proibito dei proiettili di gomma e la mancanza dei distintivi identificativi sulle loro divise.
El Pais scrive di 2 arresti e 117 feriti.
Dopo gli scontri e lo spostamento della polizia, i manifestanti hanno nuovamente occupato la piazza.
domenica 10 aprile 2011
lunedì 4 aprile 2011
“Comuni rinnovabili 2011”

I dati che emergono dal Rapporto 2011 di Legambiente, realizzato in collaborazione con GSE e Sorgenia, sono più che mai positivi. Aumento dei municipi che possiedono almeno un impianto di energia rinnovabile, passati dai 6.993 dell’anno scorso a 7.661, aumento delle tipologie d’impianto: eolico, idroelettrico, geotermico, a biomassa e biogas, solare, aumento degli impiegati nel settore, aumento dei comuni 100% rinnovabili.
“Queste esperienze dimostrano come le fonti rinnovabili sono oggi tecnologie affidabili, su cui è possibile costruire un modello energetico più moderno, efficiente e pulito” ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente “Occorre sostenere questo scenario, dando certezze a imprese, cittadini, enti locali, per sviluppare innovazione e qualità nel territorio, e consentire in poco tempo di raddoppiare gli attuali 120 mila occupati nel settore. Chiediamo al governo un impegno preciso in questa direzione, a cominciare da una modifica al Decreto Romani che ha di fatto frenato e tolto ogni certezza agli investimenti, introducendo un tetto alla crescita delle rinnovabili e una revisione degli incentivi che complica gli interventi”.
Come detto, uno degli aspetti più significativi è l’utilizzo sempre più ampio e diffuso di tutte le fonti a energia pulita, che oltre a permettere una produzione energetica maggiore aprono un ulteriore spazio alla ricerca e alle innovazioni in questo campo.
In testa risultano gli impianti fotovoltaici, 7.273, seguiti dagli impianti a biomasse o biogas, 1.033, che consentono la produzione di 7.631 GWh pari alla richiesta di energia elettrica di oltre 3 milioni di famiglie, e dagli impianti idroelettrici, 946, che raggiungono la produzione annuale di 3.952 GWh.
Ultimi per numero, ma non per importanza e produzione di energia, gli impianti eolici, 374, che nel 2010 hanno fornito il fabbisogno elettrico di oltre 3,5 milioni di famiglie, e quelli geotermici, 290, che producono circa 5.031 GWh di energia pari alla richiesta di oltre 1,6 milioni di famiglie.
Fiore all’occhiello dell’Italia sono i 20 comuni 100% rinnovabili che rappresentano i piccoli esempi per la costruzione di un modello energetico, applicabile in tutto il paese, basato esclusivamente su fonti di energia pulite. A garantire il totale fabbisogno energetico a questi comuni, tra cui Lecce, Agrigento, Isernia, è l’utilizzo incrociato di diversi impianti: i fabbisogni termici sono garantiti da impianti a biomasse allacciati a reti di teleriscaldamento mentre, quelli elettrici, sono garantiti da un insieme di diversi impianti da rinnovabili.
Altro dato importante che emerge dal rapporto è l’alto numero di comuni che producono addirittura più energia elettrica di quanta ne consumano, che risultano essere 964, e quelli che superano invece il fabbisogno termico che risultano essere 27.
Il rapporto di Legambiente contiene anche gli interventi ritenuti più urgenti per costruire un nuovo modello energetico: norme semplici e trasparenti per l’approvazione dei progetti da fonti rinnovabili, istituire una qualificata struttura d’incentivi di progressiva riduzione, la costruzione di una rete energetica che permetta un’adeguata distribuzione dell’energia e una politica che incentivi l’efficienza energetica in edilizia, negli impianti, nell’offerta ai cittadini e alle imprese.
“I Comuni rinnovabili italiani sono un esempio di successo e una chiave fondamentale per capire come dovrà funzionare un modello energetico costruito intorno alle fonti pulite e agli impianti più efficienti” ha sottolineato Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente “Il dibattito politico italiano dovrebbe guardare a queste esperienze […] Puntare su rinnovabili ed efficienza energetica è una sfida nell’interesse dell’Italia e dei suoi cittadini e può diventare una grande opportunità di competitività per un sistema industriale come il nostro che ha il suo cuore nelle piccole e medie imprese. La sfida ora è costruire una seconda fase dello sviluppo delle rinnovabili nel territorio, per raggiungere gli obiettivi europei di sviluppo al 2020 e poi continuare a progredire nell’innovazione energetica e in una progressiva uscita dalle fonti fossili”.
da www.labsus.org
mercoledì 30 marzo 2011
Carrotmob, un nuovo modo di difendere l’ambiente

Carrotmob è uno tra i progetti di maggiore successo dell’azienda californiana Virgance. Virgance nasce nel 2008 con l’incontro tra Brent Schulkin, un ambientalista laureato in Comunicazione, e Steve Newcomb, che invece ha seguito studi economici ed è un esperto di computer. I due decidono di fondare un’azienda per realizzare iniziative e progetti in grado di modificare il mondo del business rendendolo più responsabile riguardo ai temi ambientali e sociali. A oggi la loro idea è cresciuta molto e non cessa di ottenere consenso.
Che cos’è Carrotmob? Il progetto si fonda sull’idea di poter utilizzare il potere dei consumatori e la loro unione, soprattutto grazie ai social network, per influenzare il comportamento delle attività commerciali al fine di renderle più responsabili a livello ambientale e sociale. Come funziona? In pratica consiste in un boicottaggio al contrario: in una determinata città s’indice un’asta tra le attività commerciali prescelte, riguardanti lo stesso settore, che viene vinta da quella che s’impegna a spendere di più per rendere la sua attività eco-compatibile. Successivamente, determinata la data, viene organizzato, tramite social network come facebook e twitter, un grande raduno di consumatori che realizzando acquisti nel negozio vincitore aiutano l’attività a mantenere le promesse prese.
Secondo Brent Schulkin: “Per influenzare un’azienda a livello globale serve un numero significativo di persone e se c’è una prospettiva di guadagno, un’impresa farà qualunque cosa”. Dal 2008 ad oggi sono state realizzate diverse iniziative sul modello di Carrotmob in diversi paesi del mondo. Si stima che abbiano prodotto un risparmio di circa 18 milioni di kilowatt-ora di elettricità, equivalente a 1.5 milioni di galloni di benzina.
Il progetto, nonostante l’incredibile riuscita, è però considerato da Steve Newcomb solo un inizio: «Il secolo scorso è stato quello dell'innovazione e delle invenzioni. Questo invece sarà il secolo in cui "aggiusteremo" tutto ciò che abbiamo costruito senza che la sostenibilità fosse un requisito, il che significa che saremo ricordati come la generazione del Grande Restauro. Per poter apportare tutti i cambiamenti di cui abbiamo bisogno molti sostengono che ci serva qualcosa di assimilabile all'Apollo, il progetto che fece dire a Kennedy che un giorno saremmo arrivati sulla Luna. Ma non ce ne basterà uno: abbiamo bisogno di cinquecento progetti Apollo, ed è esattamente questo che è Virgance. Fin dall'inizio la nostra impresa ha attirato molta attenzione sulle sue attività perché siamo unici nel nostro approccio e abbiamo il sostegno di tante persone. La sfida ora è dimostrare che i nostri primi quattro progetti Apollo possono avere successo, per poi procedere a costruire gli altri 496».
da www.Labsus.org