L’ANOMALIA ITALIANA
Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Costituzione Italiana , ART. 21
Everyone has the right to freedom of expression.
This right shall include freedom to hold opinions
and to receive and impartial information
and ideas without interference by public authority
and regardless of frontiers.
The freedom and pluralism of the media shall be respected.
Costituzione Europea, ART. II 71
Il 3 ottobre 2009, migliaia di persone si sono riunite a Piazza del Popolo per reclamare il loro diritto all’informazione libera in quella che il segretario generale di Reporters Senza Frontiere, Jean-François Julliard, ha definito “la più grande manifestazione in difesa della libertà di stampa al mondo.” Se sembra una frase iperbolica, atteniamoci semplicemente ai fatti: l’intera piazza e le strade circostanti erano costipate di persone, 300,000 secondo Il Sole 24 Ore. La manifestazione ha avuto un ruolo fondamentale nell’attirare l’attenzione internazionale sulla mancanza di libertà di stampa in Italia. Mentre quelle 300,000 persone reclamavano il loro inalienabile diritto alla libera informazione a Roma, in molte altre città Europee si faceva lo stesso. È stato certamente un giorno memorabile.
Ci sono milioni di ragioni per cui l’Italia potrebbe essere considerata una “anomalia” rispetto al resto del mondo, ma, per il momento, concentriamoci su quelle anomalie riguardanti la libertà di stampa. Innanzitutto, il fatto più evidente ed eclatante che fa dell’Italia un paese unico in Europa è il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi.
Unendo l’influenza del suo impero mediatico e il potere del suo impiego pubblico, Berlusconi è l’uomo più potente d’Italia, ma anche il più pericoloso. Come Soria Blatmann[1] scrive nella sua relazione per Reporters Senza Frontiere dell’Aprile 2003, Berlusconi ha in mano l’84,7% della Fininvest e il 48,2% di Mediaset, il cui vice-presidente è il figlio Piersilvio. Suo fratello Paolo Berlusconi possiede Il Giornale e sua moglie, o ex-moglie, Veronica Lario il 49% de Il Foglio. Silvio Berlusconi ha anche il 48% del Gruppo Mondadori che controlla il 31% dell’industria editoriale e il 45% del mercato delle riviste in Italia.
Come può la stampa italiana essere veramente libera se un uomo così importante la controlla? Come possono i media essere il “cane da guardia” del governo, se il governo influenza direttamente i media? Come ha detto Marco Travaglio, in Italia il giornalismo è piuttosto “il cane da compagnia” del potere.[2]
Uno dei problemi maggiori del giornalismo italiano è la stretta correlazione fra giornalismo e politica. Sfortunatamente, questo non è solo il caso unico e specifico di Berlusconi e del suo impero mediatico, è un problema di ogni corrente, sia di destra che di sinistra, che salga al potere. La Rai, infatti, è pesantemente politicizzata a causa della lottizzazione. In nome di tale principio, ogni canale della Rai è dato (o meglio dovrebbe essere dato) a una maggiore corrente politica e i membri del Consiglio d’Amministrazione vengono da partiti politici diversi. Secondo la logica dell’anomalo sistema Italiano, la lottizzazione dovrebbe assicurare il pluralismo del servizio pubblico.
Quanto può essere indipendente il lavoro dei giornalisti e dei direttori Rai se dipendono direttamente dal governo e sono influenzati dai partiti politici? Sempre nella sua relazione, Blatmann nota che “l’Italia è l’unico Paese Europeo ad avere tre canali televisivi di servizio pubblico”. Non solo, ma questi tre canali sono estremamente popolari. Inoltre, cosa succede se il capo del governo, come nel caso Berlusconi, è anche il proprietario di altri tre canali? Come fa la libertà di stampa ad essere protetta se il Primo Ministro controlla il 90% della TV nazionale?
Questa politicizzazione tutt’altro che obiettiva del giornalismo italiano è chiaramente visibile nei Tg di ogni giorno e nelle sezioni sulla politica interna dei giornali. Prima di tutto, l’anomalia italiana risiede nell’enorme quantità di spazio, e tempo, dedicato alla politica interna. Secondo, e più importante, invece dei semplici fatti, troviamo i commenti, o i fatti commentanti e quindi denudati di ogni oggettività. Soprattutto nei Tg, la maggior parte del tempo è riempito dai commenti, dalle dichiarazioni, e dalle polemiche dei nostri politici. Quindi, scrive Travaglio, “la sproporzione fra i fatti e le parole è impressionante. […] In Italia […] i servizi sono incentrati per il 62,4 per cento nell’illustrare le posizioni dei politici, solo il 28,2 per cento è per l’esposizione dei fatti, il 9,4 per cento per i contenuti”. Se non c’è una mediazione giornalistica fra i politici e i cittadini, allora non c’è informazione ma propaganda. Inoltre, l’alternarsi delle dichiarazioni dei politici su fatti poco chiari (un provvedimento discusso in Parlamento, una nuova legge, un qualsiasi evento) crea confusione nella mente delle persone. Chi ha ragione? Chi ha torto? Ma soprattutto, di che stanno parlando?
L’alto livello di politicizzazione del giornalismo italiano, ma anche della società italiana nel suo insieme, è la causa e l’effetto dell’onnipresente riduzione alla dicotomia destra-sinistra. “La Corte costituzionale boccia una legge voluta dalla destra?” chiede Travaglio, “Allora è di sinistra. […] Un giornalista critica un politico di sinistra? Allora è di destra. E viceversa. I fatti non contano”. E soprattutto, riguardo al giornalismo, non conta se il giornalista dica qualcosa di vero o falso, di legale o illegale. Le opinioni contano più dei fatti.
Un’altra seria minaccia alla libertà di stampa è la censura. Eventi passati e recenti serviranno da esempio. In Italia, chiunque abbia un qualche coinvolgimento civico si ricorda dell’Editto Bulgaro, anno 2002, quando, nella sua visita ufficiale a Sofia, Berlusconi dichiarò di essere attaccato da alcuni giornalisti Rai, che usavano la televisione pubblica in modo criminale. “Preciso dovere di questa nuova dirigenza”, dichiarò Berlusconi, “sia quello di non permettere più che questo avvenga.” Non a caso, i programmi dei tre giornalisti nominati da Berlusconi nel suo discorso, Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, vennero cancellati.
In vista delle elezioni parlamentari del 2001, nel suo programma Il Fatto su Rai1, Enzo Biagi osò invitare il comico di sinistra Benigni che fece una satira su Berlusconi, candidato alle elezioni. Il programma venne eliminato nel giugno 2002. Nell’edizione speciale di Sciuscià nel maggio 2002, Michele Santoro parlò dell’affare Biagi e delle accuse di Berlusconi. Il programma venne sospeso per quattro giorni e cancellato dalle programmazioni Rai dell’autunno 2002. Infine, nel marzo 2001, Daniele Luttazzi invitò Travaglio nel suo programma Satyricon per discutere del libro di Travaglio L’Odore dei Soldi, che parlava dei problemi giudiziari di Berlusconi. Quella fu l’ultima puntata del programma e Luttazzi scomparve dalla TV.
Eventi più recenti riguardano i criticatissimi Report e AnnoZero. Nonostante il loro altissimo livello di share, la Rai voleva eliminare entrambi i programmi dal palinsesto. Ad AnnoZero, Travaglio non ha ancora ricevuto il rinnovo del contratto e va alla trasmissione di Santoro in veste di “ospite”.
L’ultimo chiaro esempio di censura riguarda Videocracy, il film di Erik Gandini sull’influenza della TV commerciale sulla società italiana. Sia Mediaset che la Rai si sono rifiutate di mandare in onda il trailer del film, per ragioni differenti. Mediaset non ha creduto opportuno pubblicizzare sui suoi canali un film che era contro la TV commerciale. La Rai si è appellata al pluralismo, dicendo che non poteva mandare in onda il trailer di un film considerato “politico” in mancanza di un altro film dalle opinioni opposte. Eh, il sacro principio della par condicio!
Un’altra conseguenza di questa forte connessione fra politica e giornalismo è la scomparsa dei cosiddetti “editori puri”, editori che hanno a cuore solamente informazioni vere e non vogliono difendere gli interessi politici e economici propri o di chiunque altro. Se un editore è coinvolto in altre attività, politiche o economiche, e in Italia questo avviene spesso, allora come possono dare notizie vere, oggettive e imparziali?
Un’altra anomalia tutta italiana riguarda la facilità con cui è possibile querelare giornalisti e giornali. Diversamente da altri paesi liberi e democratici, in Italia i giornalisti possono essere querelati anche se dicono la verità. Tutto dipende dalle parole, più o meno dure, che utilizzano. Nel suo intervento alla puntata di AnnoZero il 1° ottobre 2009, Travaglio ha messo a confronto la drammatica situazione italiana con quella americana, dove Michael Moore ha scritto Stupid White Man, un libro sull’allora presidente Gorge W. Bush. “In Italia” ha detto Travaglio, “se dai dello stupido a un politico, rischi il carcere fino a 6 anni, o la multa, più il danno morale e la riparazione pecuniaria proporzionata alla gravità dell’offesa e alla tiratura e allo share.” In Italia, chi querela può chiedere risarcimenti sia al giornalista coinvolto che all’editore, e se, nel processo, è dimostrato che il querelante ha torto, non deve neanche pagare.
Tutti questi provvedimenti legali minacciano la libertà dei giornalisti nel fare il loro lavoro e l’incoraggiamento degli editori alla libera informazione. Naturalmente, è più facile starsene calmi e assecondare i potenti.
Una minaccia ancora maggiore ai giornalisti viene dal crimine organizzato. Nel sud Italia, quei giornalisti che vanno oltre l’esposizione passiva delle notizie sulla mafia, ed analizzano eventi, collegano fatti, traggono conclusioni e cercano di informare i cittadini nel miglior modo possibile, ricevono minacce di morte. Il crimine organizzato non vuole che informazioni delicate raggiungano l’opinione pubblica, non vuole che la sua immagine venga scalfita. Quindi, qualsiasi giornalista che si spinga oltre quella linea invisibile viene considerato una minaccia e, in quanto tale, deve essere eliminato. Qualche esempio? Roberto Saviano, Lirio Abbate e Arnarldo Capezzuto.
Il silenzio è la regola in questi casi. E forse, anche nel resto d’Italia, la gente ha più possibilità di sapere chi è Anna Politikvoskaja, piuttosto che Mauro De Mauro, Pippo Fava, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Mario Francese, and Giuseppe Alfano, tutti uccisi dalla mafia.
In Italia, c’è un serio problema di libertà di stampa, ma la gravità di questo problema non è riconosciuta dalla maggioranza degli Italiani. I nostri Tg sono troppo occupati a riportarci ogni parola o polemica dei nostri politici, confondendo e narcotizzando le coscienze degli spettatori. C’è una ricerca ossessiva del sensazionalismo, di quelle “hot news” sul nostro Presidente del Consiglio che va a prostitute o il Governatore del Lazio che va a transessuali. Le accuse a persone come Dino Boffo, Ezio Mauro, Gianfranco Fini, o il giudice Raimondo Mesiano e i suo calzini turchesi, sono considerate più importanti del fatto che Silvio Berlusconi dovrebbe sottoporsi a processo per la corruzione di David Mills. Le opinioni contano, i fatti no.
Come membro dell’Unione Europea e in rispetto alla democrazia, l’Italia dovrebbe risolvere questa ulteriore vergogna alla sua lista di incongruità.
Alessandra Potenza
NOTE
1. Blatmann, Soria. “A Media Conflict of Interest: Anomaly in Italy.” Reporters Without Borders Reports. April 2003.
2. Tutte le citazioni di Marco Travaglio, eccetto dove specificato altrimenti, sono prese dal suo libro La Scomparsa dei Fatti, Milano: Il Saggiatore, 2008.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento