sabato 26 dicembre 2009

Partecipazioni

L’ANOMALIA ITALIANA

Tutti hanno diritto di manifestare

liberamente il proprio pensiero

con la parola, lo scritto e ogni altro

mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Costituzione Italiana , ART. 21

Everyone has the right to freedom of expression.

This right shall include freedom to hold opinions

and to receive and impartial information

and ideas without interference by public authority

and regardless of frontiers.

The freedom and pluralism of the media shall be respected.

Costituzione Europea, ART. II 71

Il 3 ottobre 2009, migliaia di persone si sono riunite a Piazza del Popolo per reclamare il loro diritto all’informazione libera in quella che il segretario generale di Reporters Senza Frontiere, Jean-François Julliard, ha definito “la più grande manifestazione in difesa della libertà di stampa al mondo.” Se sembra una frase iperbolica, atteniamoci semplicemente ai fatti: l’intera piazza e le strade circostanti erano costipate di persone, 300,000 secondo Il Sole 24 Ore. La manifestazione ha avuto un ruolo fondamentale nell’attirare l’attenzione internazionale sulla mancanza di libertà di stampa in Italia. Mentre quelle 300,000 persone reclamavano il loro inalienabile diritto alla libera informazione a Roma, in molte altre città Europee si faceva lo stesso. È stato certamente un giorno memorabile.

Ci sono milioni di ragioni per cui l’Italia potrebbe essere considerata una “anomalia” rispetto al resto del mondo, ma, per il momento, concentriamoci su quelle anomalie riguardanti la libertà di stampa. Innanzitutto, il fatto più evidente ed eclatante che fa dell’Italia un paese unico in Europa è il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi.

Unendo l’influenza del suo impero mediatico e il potere del suo impiego pubblico, Berlusconi è l’uomo più potente d’Italia, ma anche il più pericoloso. Come Soria Blatmann[1] scrive nella sua relazione per Reporters Senza Frontiere dell’Aprile 2003, Berlusconi ha in mano l’84,7% della Fininvest e il 48,2% di Mediaset, il cui vice-presidente è il figlio Piersilvio. Suo fratello Paolo Berlusconi possiede Il Giornale e sua moglie, o ex-moglie, Veronica Lario il 49% de Il Foglio. Silvio Berlusconi ha anche il 48% del Gruppo Mondadori che controlla il 31% dell’industria editoriale e il 45% del mercato delle riviste in Italia.

Come può la stampa italiana essere veramente libera se un uomo così importante la controlla? Come possono i media essere il “cane da guardia” del governo, se il governo influenza direttamente i media? Come ha detto Marco Travaglio, in Italia il giornalismo è piuttosto “il cane da compagnia” del potere.[2]

Uno dei problemi maggiori del giornalismo italiano è la stretta correlazione fra giornalismo e politica. Sfortunatamente, questo non è solo il caso unico e specifico di Berlusconi e del suo impero mediatico, è un problema di ogni corrente, sia di destra che di sinistra, che salga al potere. La Rai, infatti, è pesantemente politicizzata a causa della lottizzazione. In nome di tale principio, ogni canale della Rai è dato (o meglio dovrebbe essere dato) a una maggiore corrente politica e i membri del Consiglio d’Amministrazione vengono da partiti politici diversi. Secondo la logica dell’anomalo sistema Italiano, la lottizzazione dovrebbe assicurare il pluralismo del servizio pubblico.

Quanto può essere indipendente il lavoro dei giornalisti e dei direttori Rai se dipendono direttamente dal governo e sono influenzati dai partiti politici? Sempre nella sua relazione, Blatmann nota che “l’Italia è l’unico Paese Europeo ad avere tre canali televisivi di servizio pubblico”. Non solo, ma questi tre canali sono estremamente popolari. Inoltre, cosa succede se il capo del governo, come nel caso Berlusconi, è anche il proprietario di altri tre canali? Come fa la libertà di stampa ad essere protetta se il Primo Ministro controlla il 90% della TV nazionale?

Questa politicizzazione tutt’altro che obiettiva del giornalismo italiano è chiaramente visibile nei Tg di ogni giorno e nelle sezioni sulla politica interna dei giornali. Prima di tutto, l’anomalia italiana risiede nell’enorme quantità di spazio, e tempo, dedicato alla politica interna. Secondo, e più importante, invece dei semplici fatti, troviamo i commenti, o i fatti commentanti e quindi denudati di ogni oggettività. Soprattutto nei Tg, la maggior parte del tempo è riempito dai commenti, dalle dichiarazioni, e dalle polemiche dei nostri politici. Quindi, scrive Travaglio, “la sproporzione fra i fatti e le parole è impressionante. […] In Italia […] i servizi sono incentrati per il 62,4 per cento nell’illustrare le posizioni dei politici, solo il 28,2 per cento è per l’esposizione dei fatti, il 9,4 per cento per i contenuti”. Se non c’è una mediazione giornalistica fra i politici e i cittadini, allora non c’è informazione ma propaganda. Inoltre, l’alternarsi delle dichiarazioni dei politici su fatti poco chiari (un provvedimento discusso in Parlamento, una nuova legge, un qualsiasi evento) crea confusione nella mente delle persone. Chi ha ragione? Chi ha torto? Ma soprattutto, di che stanno parlando?

L’alto livello di politicizzazione del giornalismo italiano, ma anche della società italiana nel suo insieme, è la causa e l’effetto dell’onnipresente riduzione alla dicotomia destra-sinistra. “La Corte costituzionale boccia una legge voluta dalla destra?” chiede Travaglio, “Allora è di sinistra. […] Un giornalista critica un politico di sinistra? Allora è di destra. E viceversa. I fatti non contano”. E soprattutto, riguardo al giornalismo, non conta se il giornalista dica qualcosa di vero o falso, di legale o illegale. Le opinioni contano più dei fatti.

Un’altra seria minaccia alla libertà di stampa è la censura. Eventi passati e recenti serviranno da esempio. In Italia, chiunque abbia un qualche coinvolgimento civico si ricorda dell’Editto Bulgaro, anno 2002, quando, nella sua visita ufficiale a Sofia, Berlusconi dichiarò di essere attaccato da alcuni giornalisti Rai, che usavano la televisione pubblica in modo criminale. “Preciso dovere di questa nuova dirigenza”, dichiarò Berlusconi, “sia quello di non permettere più che questo avvenga.” Non a caso, i programmi dei tre giornalisti nominati da Berlusconi nel suo discorso, Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, vennero cancellati.

In vista delle elezioni parlamentari del 2001, nel suo programma Il Fatto su Rai1, Enzo Biagi osò invitare il comico di sinistra Benigni che fece una satira su Berlusconi, candidato alle elezioni. Il programma venne eliminato nel giugno 2002. Nell’edizione speciale di Sciuscià nel maggio 2002, Michele Santoro parlò dell’affare Biagi e delle accuse di Berlusconi. Il programma venne sospeso per quattro giorni e cancellato dalle programmazioni Rai dell’autunno 2002. Infine, nel marzo 2001, Daniele Luttazzi invitò Travaglio nel suo programma Satyricon per discutere del libro di Travaglio L’Odore dei Soldi, che parlava dei problemi giudiziari di Berlusconi. Quella fu l’ultima puntata del programma e Luttazzi scomparve dalla TV.

Eventi più recenti riguardano i criticatissimi Report e AnnoZero. Nonostante il loro altissimo livello di share, la Rai voleva eliminare entrambi i programmi dal palinsesto. Ad AnnoZero, Travaglio non ha ancora ricevuto il rinnovo del contratto e va alla trasmissione di Santoro in veste di “ospite”.

L’ultimo chiaro esempio di censura riguarda Videocracy, il film di Erik Gandini sull’influenza della TV commerciale sulla società italiana. Sia Mediaset che la Rai si sono rifiutate di mandare in onda il trailer del film, per ragioni differenti. Mediaset non ha creduto opportuno pubblicizzare sui suoi canali un film che era contro la TV commerciale. La Rai si è appellata al pluralismo, dicendo che non poteva mandare in onda il trailer di un film considerato “politico” in mancanza di un altro film dalle opinioni opposte. Eh, il sacro principio della par condicio!

Un’altra conseguenza di questa forte connessione fra politica e giornalismo è la scomparsa dei cosiddetti “editori puri”, editori che hanno a cuore solamente informazioni vere e non vogliono difendere gli interessi politici e economici propri o di chiunque altro. Se un editore è coinvolto in altre attività, politiche o economiche, e in Italia questo avviene spesso, allora come possono dare notizie vere, oggettive e imparziali?

Un’altra anomalia tutta italiana riguarda la facilità con cui è possibile querelare giornalisti e giornali. Diversamente da altri paesi liberi e democratici, in Italia i giornalisti possono essere querelati anche se dicono la verità. Tutto dipende dalle parole, più o meno dure, che utilizzano. Nel suo intervento alla puntata di AnnoZero il 1° ottobre 2009, Travaglio ha messo a confronto la drammatica situazione italiana con quella americana, dove Michael Moore ha scritto Stupid White Man, un libro sull’allora presidente Gorge W. Bush. “In Italia” ha detto Travaglio, “se dai dello stupido a un politico, rischi il carcere fino a 6 anni, o la multa, più il danno morale e la riparazione pecuniaria proporzionata alla gravità dell’offesa e alla tiratura e allo share.” In Italia, chi querela può chiedere risarcimenti sia al giornalista coinvolto che all’editore, e se, nel processo, è dimostrato che il querelante ha torto, non deve neanche pagare.

Tutti questi provvedimenti legali minacciano la libertà dei giornalisti nel fare il loro lavoro e l’incoraggiamento degli editori alla libera informazione. Naturalmente, è più facile starsene calmi e assecondare i potenti.

Una minaccia ancora maggiore ai giornalisti viene dal crimine organizzato. Nel sud Italia, quei giornalisti che vanno oltre l’esposizione passiva delle notizie sulla mafia, ed analizzano eventi, collegano fatti, traggono conclusioni e cercano di informare i cittadini nel miglior modo possibile, ricevono minacce di morte. Il crimine organizzato non vuole che informazioni delicate raggiungano l’opinione pubblica, non vuole che la sua immagine venga scalfita. Quindi, qualsiasi giornalista che si spinga oltre quella linea invisibile viene considerato una minaccia e, in quanto tale, deve essere eliminato. Qualche esempio? Roberto Saviano, Lirio Abbate e Arnarldo Capezzuto.

Il silenzio è la regola in questi casi. E forse, anche nel resto d’Italia, la gente ha più possibilità di sapere chi è Anna Politikvoskaja, piuttosto che Mauro De Mauro, Pippo Fava, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Mario Francese, and Giuseppe Alfano, tutti uccisi dalla mafia.

In Italia, c’è un serio problema di libertà di stampa, ma la gravità di questo problema non è riconosciuta dalla maggioranza degli Italiani. I nostri Tg sono troppo occupati a riportarci ogni parola o polemica dei nostri politici, confondendo e narcotizzando le coscienze degli spettatori. C’è una ricerca ossessiva del sensazionalismo, di quelle “hot news” sul nostro Presidente del Consiglio che va a prostitute o il Governatore del Lazio che va a transessuali. Le accuse a persone come Dino Boffo, Ezio Mauro, Gianfranco Fini, o il giudice Raimondo Mesiano e i suo calzini turchesi, sono considerate più importanti del fatto che Silvio Berlusconi dovrebbe sottoporsi a processo per la corruzione di David Mills. Le opinioni contano, i fatti no.

Come membro dell’Unione Europea e in rispetto alla democrazia, l’Italia dovrebbe risolvere questa ulteriore vergogna alla sua lista di incongruità.

Alessandra Potenza



NOTE

1. Blatmann, Soria. “A Media Conflict of Interest: Anomaly in Italy.” Reporters Without Borders Reports. April 2003.

2. Tutte le citazioni di Marco Travaglio, eccetto dove specificato altrimenti, sono prese dal suo libro La Scomparsa dei Fatti, Milano: Il Saggiatore, 2008.

giovedì 17 dicembre 2009

Partecipazioni

SOLIDARIETA’ E CENSURA

Vengono chiamati “Social Network”. Facebook, Twitter e Badoo sono siti internet. Siti internet attraverso i quali si possono conoscere delle persone e condividere con loro foto, video e messaggi; dove si possono esprimere delle opinioni, dei pareri. Da quando è diventato un vero e proprio mezzo di comunicazione, Internet è stato l’emblema della libertà di espressione in quanto l’unico non sottoposto a nessun tipo di censura. E Facebook ne è stata e ne continua ad essere la dimostrazione lampante. Ogni avvenimento, episodio, disastro o attentato viene commentato da milioni di utenti; e allora ecco sorgere gruppi di favorevoli o contrari, di estasiati o amareggiati, di ottimisti o pessimisti. Senza alcun tipo di controllo.
Giorni fa, il Presidente del Consiglio, l’On. Silvio Berlusconi, è stato gravemente ferito da un contestatore psicopatico, da anni sottoposto a terapie mediche al fine di curare il proprio disturbo, Massimo Tartaglia. L’episodio è stato considerato da stampa e mondo politico come estremamente grave, tanto da attirare, per l’ennesima volta, sul nostro Paese le luci dei riflettori delle più importanti testate giornalistiche straniere. Come ogni rilevante avvenimento che si rispetti, gli amanti della rete hanno dato vita ad una vera e propria corsa al gruppo più divertente, a quello più solidale, a quello più critico. E allora dai messaggi di solidarietà al Presidente, si è passati agli applausi per il feritore fino ad arrivare a coloro che “rendevano grazie” all’attentatore. Il mondo politico si è dato un gran da fare per esaminare la questione; il giudizio è stato quasi del tutto nel condannare il gesto e nell’esprimere la massima solidarietà alla vittima del folle atto. Donne in lacrime, anziani in coda all’ingresso del San Raffaele nel tentativo di portare omaggi al Presidente, uomini di Chiesa che promettono di pregare per il bene del malato. Il solito via vai di personaggi importanti, condito da una serie di speciali televisivi che parlavano dell’accaduto. Sulla rete intanto continuava la guerra al gruppo con più successo, con una battaglia all’”ultimo iscritto”. Il gruppo di fan di Massimo Tartaglia tocca quota diecimila, poi quindici, e in serata si arriva a ventimila iscritti. Un record!!! E la mattina seguente la sorpresa è ancora più amara: trentacinquemila persone che diventeranno cinquantamila nel pomeriggio. Un attacco vergognoso, tedioso, inaccettabile. Il volto tumefatto del premier suscita solo sdegno, dolore. Per un momento, (quasi ) tutta Italia è compassionevole, tutta Italia è con Lui, con il Presidente. Maggioranza e opposizione finalmente unite, d’accordo, coese. Fortunatamente si sguinzagliano le fila dei supporters del Presidente che iniziano una vera e propria “Corsa della Solidarietà” per il disgraziato degente. Ma c’è quella macchiolina di Facebook che rovina lo splendido quadro. Quel maledetto gruppo proprio non ci voleva. C’è bisogno che qualcuno parli, qualcuno cancelli quel maledetto colpo basso, quella maledetta macchiolina. Allora sale in cattedra Roberto Maroni, il titolare del Viminale, che partorisce la proposta, matura l’idea: “cancelliamo quei gruppi dalla rete!”. L’invenzione del Ministro leghista riceve allora un unanime coro di approvazioni e consensi, l’opinione pubblica è con lui. E c’è da credergli! Tra i due schermi, è quello televisivo a farla da padrone. Da una parte il volto sanguinante del premier, dall’altra scene festanti e osannanti il colpevole Tartaglia. Però poi per sbaglio, per errore, per un’orribile nefandezza, proprio su Facebook , capita di scrivere “Basta clandestini” e il bel simbolo verde della Lega salta agli occhi. “Basta clandestini; si chiama proprio così il nuovo gruppo firmato Carroccio; ma è il sottotitolo a suscitare ancor più ilarità: “O li fermano i politici con le leggi, o li fermiamo noi con i fucili”. Il gruppo ha la firma del partito padano, lo stesso a cui appartiene l’On. Maroni. Roberto Maroni è un Ministro della Repubblica, che prima di ricoprire il proprio incarico ha giurato fedeltà alla Costituzione.
Quando episodi di orribile incoerenza vengono alla luce, quando l’onore non ha più alcun valore, quando un giuramento ha il solo fine del guadagno, non è solo un qualcosa che non va. Non va la quasi totalità di ciò che ci rappresenta, non va l’assoluta tediosità di un governo ridicolo, non va il ridicolo sipario a cui siamo costretti ad assistere ogni giorno. Viene voglia di eliminare,ricominciare, cancellare tutto. Ma poi ci si ferma, si riflette e si arriva a pensare che forse, dopo tutto, qualche macchiolina è meglio non cancellarla.


Francesco Gentili

domenica 6 dicembre 2009

L'Onda Viola

Ieri 5 dicembre 2009 ,si è manifestata una nuova ed inaspettata “Anomalia” italiana: il No B Day.
Perché la definisco così?i motivi sono molti:
- Iniziativa, organizzazione , partecipazione e temi sono stati scelti e utilizzati da cittadini comuni, per la maggior parte giovani.
- La gran parte dei partecipanti non si è riunita sotto una bandiera partitica.
- Nessuno politico è stato invitato a parlare sul palco, solo: giornalisti , artisti, intellettuali e persone comuni.
- Durante la manifestazione non vi è stato nessun atto di violenza.
- Il nuovo luogo di nascita,diffusione ed organizzazione; la rete.

La manifestazione ha rappresentato il rinnovato bisogno di riacquisizione del diritto di partecipazione politica ,orami ridotto solo all’atto del voto, e la voglia di molti cittadini, alcuni né hanno contati 90.000, altri 1.000.000 altri ancora 25, di esprimere la loro disapprovazione per la generale gestione dello stato italiano degli ultimi 15 anni.
La protesta era diretta soprattutto al Presidente del Consiglio Italiano ,ma non solo.E’ stato preso di mira tutto l’apparato politico italiano :dal governo all’opposizione “fantasma”, senza risparmiare neanche la chiesa, e l’atteggiamento, ormai onnipresente, riassumibile nel termine “Berlusconismo”.
La richiesta e la speranza delle persone in piazza quindi non è riassumibile nel solo atto di dimissione del Presidente del Consiglio, ma in un vero è proprio cambio di rotta della politica italiana.
Il “Popolo Viola” si è schierato contro la collusione della politica, l’utilizzo di leggi “ad personam” di Berlusconi, il suo continuo attacco alle istituzioni e alla costituzione, i mancati provvedimenti a tutela dei giovani e dei milioni di lavoratori che stanno perdendo il proprio posto di lavoro, la quasi totale inesistenza di un’opposizione di valore, la condizione dei mezzi d’informazione e argomenti più ampi che riguardano il mondo dell’apparenza e della superficialità istaurato dallo strapotere televisivo ,di cui il popolo italiano ormai è succube.
Ed è proprio la televisione a levare un forte appoggio e eco alla manifestazione rifiutandone la diretta , palesando l’intreccio tra politica e tv e creando un idiosincrasia tra un evento nato sulla rete ed il mezzo d’informazione più potente.

Uno degli aspetti più interessanti è stata la mancanza di bandiere e la totale assenza di figure politiche nell’organizzazione e sul palco, che a contribuito alla nascita di un nuovo senso comune; che racchiude tutta l’indignazione, la rabbia, la vergogna, la voglia di cambiare volto a questo paese, di riconoscersi uniti contro dure battaglie, come quella alla mafia, o di riscoprire ideali dimenticati come la solidarietà.
La necessità , evidentemente condivisa da molti, di spostare il fondamento del dibattito politico su nuove idee, su una nuova energia, identificabile nelle molte giovani menti presenti alla manifestazione.
C’è ,forse, la necessità da parte di molti giovani di avere maggiore rilevanza nella vita politica italiana e di scacciare parte delle accuse che definiscono le giovani generazioni come “marce” o prive di ideali.
Magari ricordando le parole di Montesquieu :” Non sono le giovani generazioni che degenerano:esse si perdono quando gli adulti sono già corrotti”.
Giovani che,insieme a tutti gli altri manifestanti appartenenti ad altre generazioni , non si riconoscono nell’opposizione e nel suo modo di fare politica,un mondo fatto da frasi non dette o dette a metà,di prese di posizione mai chiare e decise.

Contemporaneamente a quella romana si sono svolte manifestazioni parallele anche in 45 città del mondo, tra cui Londra, Barcellona, Amsterdam, Dublino, Parigi, Vienna, San Francisco, Montreal e Sacramento. «Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali- si legge nel testo dell'appello - Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre 15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte».
Sul palco di Piazza San Giovanni si sono susseguiti grandi artisti, intellettuali e giornalisti a partire da Ascanio Celestini (www.youtube.com/watch?v=qXK3aQYwcQQ) seguito poi(in modo casuale) dal grande regista Mario Monicelli che ha fatto un vero e proprio appello ai giovani:”Chiedete uguaglianza, giustizia e diritto al lavoro. Niente più di questo. La libertà è già un'altra cosa”.
La piazza si è poi riscaldata quando si è presentato sul palco Salvatore Borsellino, fratello di Paolo,con un intervento durissimo:” Sono qui perché la mafia deve essere cacciata fuori dallo Stato, fuori dalle istituzioni. Sono qui perché Berlusconi deve farsi processare”e prosegue “Il vero vilipendio è che persone come Schifani e Berlusconi occupino le istituzioni”; mentre parla molti agitano la riproduzione dell’agenda rossa che anche lui tiene in mano durante tutto il discorso (www.youtube.com/watch?v=RoBrfE4lcvk 1 parte, www.youtube.com/watch?v=y-d3vG8TZKk 2 parte).
Si sono continuati a susseguire sul palco ed ad intervenire tramite interviste telefoniche e video:
Margherita Hack (www.youtube.com/watch?v=4cBzYNeGDuQ),
Dario Fo e Franca Rame (www.youtube.com/watch?v=XU6hvyl6f0w) che definiscono la giornata storica,
Ulderico Pesce (www.youtube.com/watch?v=P6fR6YcSY8Q),
Saramago , del quale viene letto un messaggio che inizia con la domanda:” Fino a quando Berlusconi attenterai contro la nostra costituzione?” "L'Italia è stata trasformata nella sua ombra grottesca - aggiunge Saramago - l'Italia non merita il destino che Berlusconi le ha tracciato senza il più elementare senso di vergogna di se stesso",
il cantante, attore e scrittore Moni Ovadia (www.youtube.com/watch?v=W9o3QRVYOUQ) ed
il giornalista e scrittore Giorgio Bocca(www.youtube.com/watch?v=HwiR4SCN-Hc).

Nella piazza,invece, tra i rappresentati dei partiti che hanno scelto di essere presenti c'è Antonio di Pietro ,per l'Italia dei valori: "E' la prima giornata di una resistenza attiva prima di dare la spallata finale ad un governo piduista e fascista", commenta.
Al corteo c'è anche una folta rappresentanza del Partito democratico. Applauditissima la presidente Rosy Bindi che ha precisato: "Non siamo frustrati, questo non è un popolo di frustrati ma di indignati". Nessun commento invece dal capogruppo del Pd Dario Franceschini: "Oggi sto zitto, io parlo tutti i giorni, lasciamo parlare i ragazzi e le ragazze che sono qui". Presenti anche il vicepresidente Ivan Scalfarotto, Giovanna Melandri, Ignazio Marino, Rosa Calipari e Paolo Concia ma non il segretario Pierluigi Bersani.
Claudio Fava del coordinamento nazionale di Sinistra Ecologia Libertà sottolinea: "Berlusconi non ne abbia a male ma qui oggi ci sono italiani che vogliono restituire decoro alla nostra democrazia ". "Questa piazza è una risorsa fondamentale per rimettere in campo una alternativa al berlusconismo", gli fa eco Nichi Vendola.
Da piazza San Giovanni il segretario del Pdci Oliviero Diliberto osserva: ''In qualunque paese al mondo Berlusconi si sarebbe già dimesso". Per il leader dei Verdi Angelo Bonelli quella di oggi ''non è una manifestazione di sinistra ma una ventata di aria fresca". Polemico il segretario del Prc Paolo Ferrero, che sottolinea: "L'opposizione è qui". "Vuol dire - aggiunge - che drammaticamente l'opposizione è solo nelle piazze, perché purtroppo nel Parlamento non c'è quasi mai''

Forse è stata davvero una giornata storica come l’ha definita Dario Fo, forse potrebbe essere veramente l’inizio di un movimento, di una nuova idea di politica.
Ora, sicuramente, la sfida più difficile da affrontare è rappresentata dal coordinare e indirizzare tutta l’energia e le iniziative che sono nate e nasceranno da questa manifestazione.
Finalmente, almeno una parte d’Italia,si è svegliata dal suo torpore, si è schierata ed ha fatto sentire la sua voce.
Ora bisogna proseguire su questa strada.


www.noberlusconiday.org

No B Day dall'estero




















Partecipazioni

SAGGIO SULL’OTTIMISMO

Quando il Direttore Generale della “Luiss Guido Carli” espone tutta la sua rabbia e frustrazione, tramite le colonne di Repubblica, tanto da invitare suo figlio Mattia ad abbandonare questo Paese, lo fa con il cuore. Sì, con il cuore, non c’è dubbio. E risulta assai difficile credere che un tale gesto possa essere frutto di semplice ed esclusiva finzione. Pier Luigi Celli non è un operaio; non è un impiegato statale né tantomeno un contadino. Chi ricopre incarichi come quello di Direttore Generale della Rai, massimo dirigente di una banca come UniCredit e infine ancora “diggì” di una delle Università private più importanti nel panorama italiano, incontrerebbe assai poche difficoltà nel consegnare al figlio, impacchettato e con un bel fiocco rosso, un posto da dirigente in un’azienda di grosso calibro. Celli, invece ha preferito esporre tutto il suo rammarico pubblicamente, in una lettera che racchiude in sé tutto il dolore e l’impotenza di un uomo la cui generazione non ha sbagliato, ha fallito. Per giocarsi una delle sue ultime carte a disposizione un premuroso padre mette in guardia un “distratto” figlio che rischia di incontrare serie difficoltà con la sua futura permanenza sul suo territorio natale. E l’invito è ripetuto, assillante, produce un’eco tale da rendere il finale della lettera quasi scontato. Ma in un punto Celli tratta un argomento che forse un disattento lettore tralascerebbe.Nella lettera infatti viene raccontato in poche parole il duro carattere di Mattia e di quanto difficilmente quest’ultimo abbandonerà il nostro Paese per andare a cercare fortuna all’estero. Ma non si tratta di un carattere duro o forte. Non si tratta di farcela nonostante le difficoltà. Se Mattia rimarrà o no in Italia, lo farà insieme ad altre migliaia di ragazzi come lui: laureati e non, ricercatori o meno che però avranno urlato a tutta la nazione che saranno loro a far ritornare l’Italia un Paese d’eccellenza; saranno loro a scacciare la corruzione dalla pubblica amministrazione; saranno loro a ridare a questo stato una classe politica di cui andare orgogliosi; e nel momento in cui il nostro tornerà un Paese civile e tutti affermeranno “Grazie è stato merito vostro”, noi risponderemo con il cuore che, sì, è stato davvero merito nostro.

Francesco Gentili