domenica 31 luglio 2011

Emergenza carceri

Ieri, 30 luglio 2011, il leader radicale Marco Pannella ha ripreso lo sciopero della sete e della fame per portare ancora una volta l’attenzione sul tema dell’emergenza carceri in Italia e per denunciare quella che lui stesso a definito: “una vera e propria Shoah da parte dei mezzi di informazione italiani” rispetto all’emergenza e al convegno per la riforma della giustizia “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano” promosso dal Partito Radicale, svoltosi il 28 ed il 29 luglio.

Il leader radicale aveva interrotto lo sciopero della sete e della fame proprio per rendere atto della partecipazione al convegno del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e del Presidente del Senato Renato Schifani.
E’ stato proprio il Presidente della Repubblica a descrivere , durante il suo intervento, con parole forti la grave emergenza dei carceri in italia: “una realtà che ci umilia in Europa e che ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani in condizioni che definire disumane è un eufemismo” ed ha proseguito sottolineando la gravissima divergenza tra lo stato attuale e i dettami della costituzione.

L’art 27, comma 3 della costituzione, recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”

Secondo gli ultimi dati provenienti dal Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti in Italia sono circa 68.527, di cui il 36,59 % stranieri. Mai era stato raggiunto un numero così alto di detenuti, l’emergenza del sovraffollamento ha raggiunto un livello altissimo se si pensa che i posti previsti e disponibili sono 44.568.

La situazione nelle regioni:

- Valle D’Aosta: Capienza 181 detenuti 272 ;
- Piemonte: Capienza 3.438 detenuti 5185 ;
- Lombardia: Capienza 5.540 detenuti 9121 ;
- Trentino: Capienza 258 detenuti 401 ;
- Liguria: Capienza 1.140 detenuti 1738 ;
- Emilia Romagna: Capienza 2.384 detenuti 4521 ;
- Veneto: Capienza 1.915 detenuti 3377 ;
- Friuli Venezia Giulia: Capienza 548 detenuti 883 ;
- Toscana: Capienza 3.211 detenuti 4517 ;
- Umbria: Capienza 1.132 detenuti 1675 ;
- Marche: Capienza 762 detenuti 1082 ;
- Lazio: Capienza 4.629 detenuti 6275 ;
- Abruzzo: Capienza 1.455 detenuti 1968 ;
- Molise: Capienza 354 detenuti 431 ;
- Campania: Capienza 5.259 detenuti 7992 ;
- Puglia: Capienza 2.551 detenuti 4601 ;
- Basilicata: Capienza 440 detenuti 547 ;
- Calabria: Capienza 1.849 detenuti 3059 ;
- Sicilia: Capienza 5.202 detenuti 8256 ;
- Sardegna: capienza 1.970 detenuti 2305.
(Fonte Dap)

Le carceri sono affollate di detenuti per reati minori e di soggetti colpiti dal ricorso, spesso forzato ed eccessivo, alla custodia cautelare.
Verità che non ha mancato di sottolineare anche il Presidente della Repubblica , che ha definito la situazione come un : “abnorme ricorso alla custodia cautelare, realtà che ci umilia in Europa”.
La gravità dell’emergenza è facilmente percepibile osservando i drammatici dati sui suicidi nei carceri.
Dall’inizio del 2011 sono già 40 i detenuti suicidi all’interno delle carceri.
Negli ultimi 11 anni sono morti, nelle carceri italiane, 1.800 detenuti di cui oltre 1/3 per suicidio. Ad incrementare ulteriormente il disagio e le grave condizione in cui si trovano le carceri italiane è la drastica riduzione del personale.
Infatti, l’aumento spropositato del numero dei detenuti va di pari passo con la riduzione del personale della polizia penitenziaria.
Il numero del personale previsto raggiunge i 41.586 membri, mentre il personale attuale raggiunge quota 34.910.

Se, citando Dostoevskij, il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni, noi a che stadio siamo?

Intervista a Riccardo Iacona sul suo viaggio nelle carceri italiane:

giovedì 28 luglio 2011

“LasciateCIEntrare”

Dal 1° aprile 2011, in base alla circolare n. 1305 firmata da Roberto Maroni, è possibile l’accesso ai Cara e ai Cie solo a soggetti pubblici e a individui singoli, come membri del parlamento e consiglieri regionali.
Alla stampa invece è tassativamente vietato l’ingresso fino a data da determinare.

Proprio per contestare la disposizione del ministro Maroni, lunedì 25 luglio si è svolta la prima giornata di mobilitazione nazionale della campagna “lasciateCIEntrare”, nata dopo l’appello di Del Grande, fondatore nel 2006 dell’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione, “Fortess Europe”. La campagna promossa dal FNSI e dall’ordine dei giornalisti ha poi ricevuto diverse adesioni tra cui: Art 21, ASGI, Primo Marzo, Open Society Foundation, European Alternatives, ANSI, ARCI, ANSI, Libertà e Giustizia, Il Manifesto, il Riformista, l’Unità oltre ad un gruppo di parlamentari provenienti da diversi partiti dell’opposizione: Pd, Idv, Fli e Radicali.

Il punto centrale della protesta è la richiesta di fermare la censura della stampa disposta sia per i 13 CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione, ordinari, dove sono trattenuti gli immigrati con documento di soggiorno scaduto o che non hanno adempiuto il decreto di espulsione dall’Italia in attesa della loro identificazione e dell’eventuale rimpatrio, sia per i 3 CIE straordinari di Santa Maria di Vetere, Palazzo San Gervasio e Kinisia istituiti con decreto il 21 aprile.
Ma il divieto imposto alla stampa non si limita ai Centri d’identificazione ed Espulsione.
Da aprile, infatti, è impossibile l’ingresso dei giornalisti anche nei CARA, Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo, dove sono ospitati i richiedenti asilo in attesa della valutazione della loro domanda di protezione internazionale.

Il limite alla stampa posto anche nei confronti dei CARA rende ancora più preoccupante e inaccettabile, da parte degli aderenti all’iniziativa, la disposizione prevista da Maroni, come si legge nelle parole di Fulvio Vassallo, giurista dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione: “ I centri di accoglienza non sono chiusi, i richiedenti asilo possono uscire e allora non si capisce perché non possono entrare i giornalisti, il fatto che la circolare richiami congiuntamente i centri di accoglienza e quelli d’identificazione e di espulsione conferma la trasformazione in atto delle strutture di accoglienza in centri di detenzione “.
Ad incrementare ulteriormente la preoccupazione e l’indignazione degli aderenti il decreto del Consiglio dei Ministri votato il 16 giugno, che ora aspetta di essere convertito dal parlamento, che prevede il possibile aumento del tempo massimo di detenzione a 18 mesi.

La giornata di protesta si è concretizzata in diversi sit-in davanti ai principali CIE nazionali e con ispezioni di deputati e senatori nei centri. Dei 36 parlamentari che ne hanno preso parte, 6 hanno visitato e costatato la difficile situazione del CIE capitolino di Ponte Galeria, già oggetto di denuncie di associazioni umanitarie per abusi e violazioni dei diritti umani, dove, circa venti immigrati sono saliti sul tetto sventolando un lenzuolo con scritto la parola “libertà”.
I deputati, Andrea Sarubbi, Furio Colombo, Francesco Pardi, Rosa Villecco Calipari, Vicenzo Vita e Livia Turco, hanno potuto costatare la drammatica situazione in cui sono costretti a vivere gli immigrati. Per Furio Colombo, Presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati: “ I Cie sono un monumento alla violazione della costituzione”, mentre Francesco Pardi, parlamentare dell’Idv, denuncia l’alto numero degli ex carcerati ora reclusi nei centri: “ Il 60% dei reclusi è passato prima dal carcere e qui sconta un’altra pena aggiuntiva perché in carcere non è stato identificato, i consolati non rispondono e le persone restano nel limbo”.

La motivazione della disposizione presa dal Ministero, cioè il “non intralciare” le attività rivolte a gestire il flusso d’immigrati provenienti dal Nord Africa, oltre a risultare inaccettabile dal presidente della Fnsi, Roberto Natale: “ Ci sembra assurdo che i giornalisti siano considerati un intralcio. La formulazione di questa circolare è una violazione dell’articolo 21 della costituzione “, lascia spazio a diverse considerazioni come quella fatta dal Presidente della regione Puglia Nichi Vendola.
Vendola ha definito i CIE “ luoghi opachi, in cui si rischia di vedere sospesi diritti costituzionali, di luoghi in cui è possibile che avvengano violazioni di diritti umani” possibilità dovuta alla grave limitazione del diritto di cronaca e critica giornalistica, diritto sancito dalla costituzione italiana come il diritto d’asilo e l’adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano alle norme e ai trattati internazionali riguardo alle condizioni dello straniero.