giovedì 5 novembre 2009

Partecipazioni

BAGARRE MEDIATICA

Se la crisi dello scorso anno ha colpito gravemente l’economia degli Stati Uniti, in Italia a preoccupare è un altro tipo di crisi: parlo del tramonto culturale degli ultimi anni, principalmente politico, ma anche sociale ed etico.

I toni aspri con cui vengono condotti i dibattiti in televisione, la violenza delle parole usate e le interruzioni continue, hanno il solo scopo di delegittimare chi ci siede di fronte. Non si può certo più parlare di confronto politico utile e responsabile, che aiuti a formare le coscienze degli spettatori, e sollecitare domande e curiosità, o semplicemente che contribuisca al formarsi di un’opinione personale, e legittimata da notizie certe e fatti documentati. Chi si affronta nell’arena televisiva, molto spesso non ha intenzione di fare chiarezza sull’argomento al centro della discussione. Anzi, è pienamente consapevole che più il pubblico rimane confuso e disorientato, più il dibattito diventa scontro violento e personale tra nemici di fazioni diverse, minore sarà il pericolo di perdere consenso. Cosa che potrebbe più facilmente accadere se l’opinione pubblica sviluppasse capacità critica, e chiedesse conto delle proprie azioni ai rappresentanti eletti che ricoprono cariche pubbliche. È proprio la scomparsa della capacità di critica e di autocritica che ha favorito l’imbarbarimento del confronto politico: il termine corretto sarebbe ora quello di conflitto, non di idee, di ideali, di programmi o di progetti. Conflitto tra fazioni, che si minacciano, si offendono, si attaccano. E ogni tentativo di dibattito serio e coerente, scevro da qualsiasi faziosità, viene immediatamente riportato sul piano dello scontro, per evitare che qualsiasi ascoltatore possa porsi scomode domande.

Questo degrado della politica, giova a chi gioca sui timori dei propri sostenitori, ricorrendo ad una simbologia, semplice ma efficace, che affonda le proprie radici nella storia degli Italiani, e sui quali desta più facilmente impressione, indignazione e paura. I magistrati comunisti, i tentativi di golpe dei poteri massonici, i preti sovversivi, il ribaltamento terroristico del voto elettorale. Sono i mostri che abitavano il buio nella nostra infanzia, sono l’emblema di un recente passato sanguinoso e ancora coperto dal mistero. Ed è ad esso che si ricorre per compattare le proprie fila, indicare colui che la pensa diversamente da noi come sovversivo e nemico del popolo, e ridurre ogni dibattito (che riguardi religione, etica, società, cibo, abbigliamento) ai termini di una guerra civile tra due fazioni. Signori, si è riaperta la caccia all’untore e alle streghe. E con successo.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile solo qualche hanno fa, quando l’opinione pubblica era capace di mobilitarsi, appassionarsi, interessarsi alla Cosa Pubblica, perché la sentiva ancora propria, come in effetti era. Poi Mani Pulite. La corruzione che irrompe nella politica e nell’imprenditoria, il prezzo dello svilimento dello Stato. E le stragi di mafia. Magistrati e forze dell’ordine impegnati in una guerra, che quello stesso Stato non aveva né voglia né forza di condurre. Di quel periodo, è rimasto solo il ricordo degli uomini che hanno sacrificato la loro vita per lasciarci un futuro migliore.
Tutto vano. I cittadini si sono allontanati ulteriormente dalle istituzioni, poiché esse hanno continuato a svilire se stesse e il popolo che rappresentano. La collusione degli apparati statali con le mafie, che hanno invaso e invadono le nostre istituzioni; i condoni fiscali, patrimoniali, immobiliari, che premiano associazioni criminali e cittadini disonesti, insieme all’allentamento della morsa dei controlli sull’evasione fiscale; la folle guerra contro i dipendenti statali (bollati indiscriminatamente come “fannulloni”), che certo le tasse non possono evaderle; l’arroganza con la quale gli stakanovisti governativi (vedi frequenza e presenze, assai esigue entrambe, delle sedute parlamentari) si riempiono la bocca di “premi alla meritocrazia”, tagliando i fondi in ogni settore che possa portare nuova linfa all’Italia (ricerca, istruzione, sviluppo delle tecnologie), e lasciando intatte le strutture malate del nostro Paese. Gli unici ad esser premiati sono i cosiddetti “partiti del cemento”, le lobby immobiliari e gli appaltatori mafiosi, che finanziano, tra le altre, le “grandi opere” ( dove grande è solo la quantità di denaro riciclato e di leggi violate).

L’unica speranza è che, in un Paese dove è in corso una guerra per addormentare il senso di responsabilità civile, la coscienza collettiva riesca a sconfiggere il dominio, finora incontrastato, delle televisioni e dei reality. Sarebbe la vittoria dell’impegno sull’indifferenza e la rassegnazione. Per ora, accontentiamoci di guerriglia e sabotaggi, e rimandiamo a tempi migliori la battaglia in campo aperto.

Massimo Ferraro


NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE DELLA SINISTRA

L’Italia è sempre stata un Paese unico. Per l’influenza del suo grandioso passato; per la cultura onnipresente che traspare da ogni pietra e monumento delle sue città; per la sua squisita cucina ammirata e imitata in tutto il mondo; per la passione del suo popolo, così spesso rappresentata dagli scrittori e poeti inglesi; per il suo clima mite e piacevole, riflesso nel carattere aperto e spontaneo degli italiani. Oggi, tutte queste unicità ancora rimangono, ma sono oscurate e sopraffatte da una di tipo differente, ugualmente famosa nel resto del mondo. Questa unicità si chiama Silvio Berlusconi.

Sebbene sia accusato di corruzione e sia risaputo che abbia contatti con la mafia, Berlusconi è stato il Primo Ministro italiano per tre volte, da quando ha fatto il suo ingresso nella scena politica nel 1994. Nel 2008, dopo la caduta del governo di Romano Prodi, è stato eletto (e ancora oggi è) premier di un nuovo governo di destra. La sua situazione atipica ha sollevato le preoccupazioni e l’indignazione dei paesi stranieri, ma Berlusconi ancora mantiene il potere con fermezza e rifiuta di dimettersi, nonostante tutte le ragioni che legittimerebbero questa decisione. Nominiamone solo alcune.

Silvio Berlusconi è l’esempio numero uno del conflitto d’interesse, dal momento che è il proprietario e influenza sei dei sette canali della Tv italiana, oltre a case editoriali fra le più importanti come Mondadori e Einaudi. Fra i vari procedimenti legali che lo riguardano, Berlusconi è al momento sotto processo per la corruzione dell’avvocato inglese David Mills, che, il 17 Febbraio 2009, è stato condannato a quattro anni di prigione per aver accettato 600 mila dollari per mentire e proteggere Berlusconi. È stato coinvolto negli scandali di Villa Certosa, la sua residenza in Sardegna, dove organizzava festini mondani con giovani ragazze, documentati da centinaia di foto. È stato accusato da sua moglie, Veronica Lario, di avere relazioni con ragazze minorenni, come Noemi Letizia, e di aver candidato prostitute e modelle per le scorse elezioni Europee. È stato provato che ha ricevuto prostitute, chiamate elegantemente “escort”, nella sua residenza romana di Palazzo Grazioli e che ha avuto rapporti sessuali con loro. Last but not least, molte volte ha dimostrato di avere un senso dell’umorismo volgare e grossolano. Esempi sono il suo commento sull’abbronzatura di Obama; la sua battuta sui desaparecidos argentini, che ha sollevato l’indignazione internazionale; o la sua offesa pubblica a Martin Schulz, europarlamentare tedesco, quando gli ha suggerito di proporsi nel ruolo di kapò in un film sui nazisti girato in Italia.

La lista di tutte queste “peculiarità” potrebbe essere molto più lunga e dettagliata. Ma non ho intenzione di nominarle tutte ora. Voglio concentrarmi su una questione molto più importante. Perché Berlusconi ha vinto le elezioni nel 2008? E considerando tutti questi scandali legali, politici, e personali, perché la sua popolarità resta così alta in Italia?

Mi rifiuto di accettare la risposta così comune che tutti gli italiani vogliano essere come Berlusconi. Molte volte, ho letto articoli di giornali stranieri che affermavano che Berlusconi è così popolare perché rappresenta ciò che sono gli italiani. Non posso negare che questi articoli e queste affermazioni mi abbiano fatto tremare di rabbia e disappunto. L’idea, così comunemente professata, che tutti gli italiani abbiano un piccolo Berlusconi dentro di loro semplicemente mi disgusta. Dire che tutti gli italiani sono individualisti, disonesti, furbi, bugiardi, scorretti, e assetati di potere, caratteristiche che Berlusconi stesso non nega, è una generalizzazione povera e ignorante. Come avrebbero reagito gli americani, se fossero stati tutti accusati di essere bugiardi e traditori delle loro mogli, quando Bill Clinton ebbe quella relazione con Monica Lewinsky?

Inoltre, l’idea che Berlusconi piaccia così tanto agli italiani perchè incarna il “self-made man”, l’uomo fattosi da sé, non può essere considerata vera. Questo concetto del self-made man coraggioso e pieno di speranza è tipico della cultura americana, non di quella italiana, dove la meritocrazia e un individualismo così forte non sono considerati valori basilari. Non posso credere che Berlusconi abbai risvegliato questa idea atipica nelle menti di milioni di italiani e acquistato il loro rispetto e la loro ammirazione. Anche perché nella cultura americana questo concetto dell’uomo fattosi da sé va a braccetto con l’onestà, l’integrità, il sacrificio, la dedizione al lavoro, e il rispetto degli altri – tutte qualità che Berlusconi non può vantarsi di avere.

Nel 1994, quando Berlusconi entrò in politica dopo le stragi di mafia e Mani Pulite, introdusse se stesso come un uomo nuovo, capace di portare rinnovamento alla scena politica italiana. Ma ora, come possiamo giustificare la sua popolarità?

Come lo storico e sociologo francese Marc Lazar dice, “oggi il suo prestigio è così forte perché non c’è nessuno in grado di tenergli testa. Berlusconi, insomma, vince per mancanza di avversari”.
È esattamente questa la ragione. E una chiara dimostrazione è data dal maggior partito di opposizione, il Partito Democratico (Pd).

Quando il Pd venne formato nel maggio 2007, unì insieme i due maggiori partiti di sinistra, i Democratici di Sinistra (DS) e la Margherita. In questo modo, ha riempito le proprie fila di politici come D’Alema, Rutelli, Fassino, Bassolino, Iervolino, Binetti, Bindi, e altri, che hanno ostacolato il cosiddetto ricambio generazionale. Il risultato è stato la nascita di un partito debole e diviso, i cui rappresentanti hanno idee e opinioni differenti e antepongono i propri interessi personali agli interessi del partito. Tutte queste “correnti” all’interno del Pd hanno danneggiato la sua unità, coerenza, e abilità di creare un consistente programma, alternativo al governo di Berlusconi.

La crisi “ufficiale” del Partito Democratico ha avuto luogo quando il suo segretario, Walter Veltroni, si è dimesso dopo che il candidato Pd Renato Soru ha perso le elezioni regionali in Sardegna, roccaforte della sinistra.

Il successore di Veltroni, Dario Franceschini, ha dimostrato di essere un personaggio debole sulla scena politica, e ha affiancato Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, nel suo forte anti-berlusconismo, una corrente politica di pensiero adatta solo a criticare Berlusconi e in grado di procurargli più pubblicità e consensi. Invece di portare avanti una vera alternativa a Berlusconi, le reazioni di Franceschini alla condotta politica e morale del Primo Ministro sono state frasi del tipo, “Fareste educare i vostri figli da quest’uomo?”. Non è necessario specificare che è stato un fallimento.
D’Alema, Rutelli, Bindi, Bersani, e molti altri membri del Pd, sono tutti parte della stessa Casta politica da cui viene Berlusconi. La loro opposizione è debole e non è seria, come è stato dimostrato lo scorso ottobre, quando lo Scudo Fiscale è passato alla Camera dei Deputati per soli 20 voti. Come i tabulati della Camera mostrano, 25 deputati del Partito Democratico erano assenti. Questo è uno scandalo che non è passato inosservato e che ha minato l’immagine già fragile del partito.

Il problema del Pd è che il suo leader e suoi rappresentanti non riescono a parlare alle persone, come è stato dimostrato lo scorso ottobre, durante le primarie del partito. Le primarie, ispirate al sistema americano, sono una novità nella scena politica italiana e sono un incentivo positivo per la democrazia partecipativa. Ma a differenza delle primarie americane, quelle italiane non hanno visto il confronto fra i tre candidati, Bersani, Franceschini e Marino. I loro programmi sono rimasti praticamente nascosti agli occhi e alle orecchie degli elettori. Questo è avvenuto perché, qui in Italia, noi siamo abituati a votare la persona, non il suo progetto politico. Cosa ne pensavano i tre candidati delle questioni ambientali, dell’immigrazione, del welfare e del sistema sanitario?
Andando in giro per Roma, ho trovato un solo stand in supporto a Marino, dove mi è stato dato il suo programma. Non è abbastanza e molto di più deve essere fatto per comunicare con gli elettori.

In questo momento, siamo testimoni di una crisi della sinistra e di un’innaturale calma tra le sue fila. Mi piacerebbe dire che il futuro dell’Italia è in mano agli italiani, ma è difficile prevedere come si evolverà la scena politica. Forse c’è ancora un po’ di speranza. Forse, possiamo ancora cambiare questo sistema burocratico e gerontocratico che sta uccidendo il nostro paese.

Alessandra Potenza

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